I saggi pubblicati su Tangram

Il mondo dei robot

Tangram, anno V n° 14 (settembre 2006)

Siamo ormai giunti alla fine del nostro lunghissimo viaggio attorno ed attraverso la vita artificiale, nel quale ci hanno fatto compagnia le creature più fantastiche che l'uomo ha saputo inventare e costruire lungo oltre duemila anni di progresso tecnologico. Nell'arco di alcuni mesi abbiamo potuto così incontrare da vicino automi meccanici e menti senza corpo, cuccioli virtuali ed androidi calciatori, paranoidi artificiali e computer autocoscienti, attraversando territori sconosciuti ed affascinanti dove la scienza e la fantascienza si intersecano a tal punto che è alle volte difficile distinguere l'una dall'altra.

Questo nostro vagabondare tra ricerca e fantasia, solo in apparenza caotico e senza meta, è stato invece sempre caratterizzato, se non addirittura guidato, dalla presenza di un costante ancorché sorprendente motivo conduttore: il gioco. A volte solo adombrato tra le pieghe del discorso, altre volte manifesto in modo addirittura sfacciato, è stato comunque lui a costituire il filo rosso che ci ha condotto alla scoperta del più straordinario fra i tentativi dell'uomo: quello di dare la "vita", o qualcosa di simile ad essa, ad una creatura artificiale da sé stesso costruita, rendendola senziente ed autocosciente, autonoma ed indipendente dal suo creatore. È infatti in realtà lo spirito ludico a permeare ad ogni livello tale iniziativa, se non addirittura a costituirne l'ispirazione primaria: spesso infatti il gioco rappresenta la finalità stessa per la quale l'uomo si accinge alla "creazione" di un essere sintetico con cui interagire e, appunto, giocare.

Certo le finalità con cui, almeno in tempi recenti, si compiono ricerche sul tema della "vita artificiale" sembrano a prima vista assai serie e, pur se con qualche eccezione, lontanissime dal mondo del gioco come viene comunemente inteso. Ma è la scienza stessa ad essere, tutto sommato, un grande gioco; e gli scienziati sono i primi ad affrontare la propria attività con la medesima serietà distaccata ed autoironica con cui un role player affronta la sua attuale campagna. In entrambi i casi infatti lo scopo della partita è proprio quello di scoprire le regole del gioco, che il Master tiene accuratamente nascoste cospargendo di falsi indizi il percorso dei giocatori. Non è dunque un caso che la scienza sia, a sua volta, la migliore metafora di quel gioco di ruolo per eccellenza che è la vita, nel quale tutti siamo stati chiamati ad interpretare una parte più o meno estesa od interessante.

Così non c'è da meravigliarsi troppo se, con la stessa logica ricorsiva e un po' canzonatoria del "teatro nel teatro" o dei disegni di Escher, l'uomo abbia da sempre provato la pulsione inconscia a reagire al gioco della vita perpetuandolo e scimmiottandolo, o meglio proiettandolo spiralmente al di là ed oltre sé stesso, in una dimensione nella quale potersi infine sentire artefice e demiurgo e non solo mera pedina sulla scacchiera di chissà quale inconcepibile partita. Ecco quindi perché figure archetipiche quali il Golem e la creatura di Frankenstein, antesignane letterarie dei moderni robot quali la famosa Maria di Metropolis, si sono radicate nella coscienza collettiva: esse materializzano il tentativo atavico ed inconscio dell'uomo di replicare sulla materia inerte ciò che, secondo la narrazione del Genesi, fu proprio lui stesso a sperimentare quando il Creatore, fatto un simulacro di terra, insufflò in esso lo spirito e lo rese vivo.

Imitare o ricreare la vita equivale quindi per l'uomo a sconfiggerla, spezzando la propria sudditanza verso un artefice che non comprende ed un destino che non ha scelto. E dando vita ad una creatura "nuova" l'uomo proclama in qualche modo la propria superiorità sulla natura, in quanto non solo ha infine scoperto le regole del gioco ma ha anche imparato a superarle, riuscendo addirittura a riproporle in una nuova partita dove può finalmente assumere il ruolo di Master e non più quello di giocatore.

I robot sono tra noi

Sarà per questi o magari per altri motivi, ma stranamente in questi ultimi anni il panorama della ricerca tecnico-scientifica si è popolato come mai in passato di creature artificiali, più o meno evolute ma tutte ugualmente interessanti. Si va così dai tentativi di ricreare la più perfetta illusione di vita biologica, costruendo androidi dalle fattezze umane meticolosamente riprodotte, agli studi cognitivi sulla mimica facciale che mirano alla costruzione di robot in grado di sfruttare il "body language" sia per interpretare le emozioni umane, "leggendole" letteralmente dal volto delle persone, sia per poter riprodurre sul proprio volto meccanico quei segnali subliminali di stato che un essere umano istintivamente si aspetta da ogni creatura senziente ed intelligente.

L'interesse per la vita artificiale e le sue applicazioni non sembra inoltre essere confinato solo al mondo accademico: da qualche anno è infatti sceso in campo un colosso industriale del calibro di Honda, che ha intrapreso un ambiziosissimo progetto volto alla realizzazione di un robot umanoide bipede "general purpose", ossia non specializzato in un solo compito ma potenzialmente in grado di svolgere diversi tipi di attività di ordine generale. Il suo prototipo, giunto oramai alla quarta generazione, è in grado di eseguire molteplici azioni tipicamente umane quali camminare e correre, riconoscere le persone ed accompagnarle all'interno di uffici, trasportare piccoli oggetti porgendoli alle persone, comprendere semplici ordini vocali, e così via.

Mi è sembrato dunque naturale concludere il nostro lungo excursus nella vita artificiale passando brevemente in rassegna i risultati più interessanti ed evoluti che la ricerca e l'industria hanno presentato in tempi recenti nel campo della robotica: tutte applicazioni apparentemente serie ma… sempre caratterizzate dalla presenza in filigrana dell'inevitabile elemento ludico. I robot sono davvero fra noi e probabilmente lo saranno sempre più col passare del tempo, anche se verosimilmente non assomiglieranno più di tanto ai vari androidi resi celebri dalla fantascienza letteraria o cinematografica. È tuttavia con un reverente pensiero ad uno di questi che ho scelto il titolo della puntata: il riferimento è infatti alla omonima pellicola cult del 1973, tratta da un intrigante romanzo di Michael Chrichton e da lui stesso diretta, imperniata proprio su un drammatico rapporto tra gioco e robot.

"Il mondo dei robot" (titolo originale: "Westworld") narra la storia di Delos, un sofisticatissimo parco di divertimenti per adulti nel quale facoltosi ospiti possono vivere dei veri e propri giochi di ruolo "estremi" ambientati all'interno di scenari perfettamente ricreati grazie alla tecnologia. I vari "mondi artificiali" disponibili, che ricostruiscono alla perfezione la vita in luoghi e momenti ormai mitici quali l'antica Roma o il selvaggio West, sono tutti caratterizzati dalla presenza di "personaggi non giocanti" che non sono comparse umane bensì avanzatissimi androidi, programmati per impersonare i vari ruoli richiesti dall'ambientazione. Tutto a Delos va per il meglio sino a che un grave incidente nella sala controllo mette fuori uso il grande computer centrale, da cui dipendono tutti gli automatismi, uccidendo i tecnici di presidio: i robot rimangono allora in balia di sé stessi, ciecamente prigionieri nel proprio ruolo e condannati a ripetere con stolida precisione la sceneggiatura che stavano interpretando. Del film resterà per sempre indimenticabile la figura del bounty-killer robotico, interpretato da un magistrale Yul Brynner, il quale, oramai privato dei meccanismi di sicurezza che gli impedivano di fare del male alle persone, insegue instancabilmente i malcapitati ospiti umani di Delos per ucciderli davvero, sopravvivendo come un inesorabile Rasputin meccanico agli innumerevoli tentativi con cui questi ultimi cercano di distruggerlo per salvare le proprie vite.

C'è da sperare che i nostri compagni di gioco del futuro non saranno proprio così…

Antropomorfo è bello

Ma torniamo alla realtà. In questi ultimi anni la ricerca sui robot antropomorfi si è orientata principalmente lungo due linee differenti: da un lato l'approccio puramente funzionale, teso soprattutto a comprendere e replicare i paradigmi di funzionamento profondi tipici di un essere umano (vista, udito, movimento, cognitività, …) senza porre particolare enfasi sull'aspetto estetico dell'automa; dall'altro quello imitativo, interessato maggiormente a produrre una copia il più perfetta ed indistinguibile possibile di un essere umano che a simularne con rigore i meccanismi interni. Inutile dire che il primo approccio è adottato principalmente dalla ricerca scientifica, che vede in esso l'unica via per riuscire a produrre esseri artificiali in grado di interagire compiutamente con gli umani in un ampio ventaglio di situazioni reali anche complesse; il secondo invece è perseguito soprattutto dall'industria ed ha essenzialmente finalità di spettacolo ed intrattenimento, oppure mira a produrre dei semplici "alter ego" automatici in grado di sostituire una persona solo in un numero limitato e predefinito di attività elementari.

Un esempio di robot del primo tipo è l'italiano BabyBot, realizzato dai laboratori di robotica dell'Università di Genova. Benché assomigli più a un quadro di Picasso che ad un essere umano, dispone tuttavia di tutte le funzioni umane imitate alla perfezione sia sul piano biologico che su quello cognitivo: è nato infatti per essere un banco di prova sul quale studiare i meccanismi dello sviluppo nei bambini del senso della presenza, che è prerequisito fondamentale per portare alla percezione di sé.

Un esempio di robot del secondo tipo è invece la coreana EveR-1, presentata lo scorso maggio al Seoul Education Culture Center, la quale imita praticamente alla perfezione l'aspetto di una ragazza orientale di una ventina d'anni. EveR-1 è stata sviluppata nei laboratori del KITECH, l'Istituto Coreano di Tecnologia Industriale, con l'obiettivo di produrre un androide in grado di "lavorare" come receptionist: essa è dunque è in grado di comprendere un semplice linguaggio parlato (riconosce 400 termini) ma anche di interpretare la mimica facciale del suo interlocutore per distinguerne lo stato d'animo; può inoltre mutare a sua volta le espressioni del volto, grazie a ben 35 micromotori inseriti sotto la sua pelle artificiale, per esprimere un'ampia gamma di emozioni. Non ha le gambe (o meglio, i suoi arti inferiori non sono in grado di muoversi) ma questo non è un problema, dato che non è stata pensata per andarsene a spasso!

Fra i robot ideati per svolgere compiti specifici, il più strano è certamente il giapponese Ri-Man. Sviluppato dal centro di ricerca RIKEN, è caratterizzato da una singolare struttura semi-antropomorfa (la locomozione avviene mediante ruote) e da una… estetica che ricorda più i robot naif disegnati dai bambini che un reale prodotto industriale. Grazie ad una testa che è un cubo arrotondato, e ad una faccia buona con l'espressione un po' tonta, Ri-Man ci appare come un essere semplice ed inoffensivo, nel quale è istintivo avere fiducia. Ed è giusto così, in quanto la funzione per cui è stato progettato è quella di ausilio agli anziani, con particolare riguardo a tutte quelle attività "di fatica" nelle quali è necessario ad esempio trasportare di peso un degente. Ri-Man è infatti in grado di prendere letteralmente in braccio una persona che giace in un letto per deporla in un altro: e… se non ispirasse istintivamente fiducia e serenità, nessuno si sentirebbe a suo agio con lui durante l'operazione. Da notare inoltre che Ri-Man ha il naso… nelle ascelle! Ai lati del suo tronco sono infatti installati particolari sensori olfattivi in grado di riconoscere determinati tipi di odori di natura biologica (ad esempio l'urina), così da consentirgli di analizzare sommariamente ma rapidamente lo stato e le eventuali necessità del paziente che sta trasportando.

Ma veniamo al più grande capolavoro di questi ultimi anni, un robot antropomorfo di utilizzo generale che si comporta in modo assai più naturale perfino dei suoi colleghi dei film di fantascienza! Si tratta di Asimo della Honda, ed è un vero miracolo di ingegneria e d'informatica. Caratterizzato da fattezze marcatamente robotiche, anche se basate su linee morbide ed eleganti, Asimo è un umanoide alto 120 cm, dalle dimensioni ben proporzionate. Il suo corpo è progettato ad immagine di quello umano, ed in particolare dispone delle medesime articolazioni situate nei giusti punti. Sulla schiena porta quello che sembra un voluminoso zaino, che in effetti contiene l'elettronica di controllo; il volto è invece apparentemente nascosto dietro un'ampia celata in plexiglass, che ricorda un casco da motociclista e lascia intravedere solo un paio di enormi "occhioni" elettronici. Asimo deambula autonomamente con andatura bipede perfettamente bilanciata grazie al movimento coordinato delle braccia, superando asperità o piccoli ostacoli e salendo o scendendo gradini; è in grado di seguire percorsi curvi grazie agli snodi sulle caviglie e sull'anca che imitano le articolazioni umane; e può perfino correre, cosa che fa con passo elastico e relativamente armonioso, ancorché saltellante, spostandosi alla ragguardevole velocità di 6 Km/h nonostante i suoi 52 Kg di peso. Una completa serie di sensori consente ad Asimo di riconoscere non solo l'ambiente circostante ma anche le persone con cui viene in contatto: può così addirittura prenderle per mano ed accompagnarle a destinazione camminando al loro fianco. Le sue dita sono prensili e dotate di sensori di feedback e di peso, in modo da consentirgli di prendere oggetti saldamente ma senza rischiare di romperli o di lasciarli cadere. Comprende infine un parlato basico ed è capace di eseguire alcuni semplici compiti, al termine dei quali non manca di ossequiare il proprio interlocutore con un rapido inchino alla giapponese. Frutto di quasi vent'anni di ricerche, questo incredibile oggetto contiene al suo interno ben ventisei servomotori, oltre ad una piattaforma giroscopica e a diversi accelerometri per il mantenimento dell'equilibrio, per non parlare dei computer di bordo estremamente sofisticati. Ufficialmente il suo nome è un acronimo che sta per Advanced Step in Innovative MObility ("passo in avanti nella mobilità innovativa"), ma l'assonanza col "buon dottore" Isaac Asimov, creatore dei più famosi robot della fantascienza, non sembra essere del tutto casuale…

Il calcio come banco di prova

Ma ritorniamo all'origine di tutto il discorso, ossia ai rapporti tra gioco e ricerca robotica. Abbiamo già parlato qualche tempo fa dell'iniziativa denominata RoboCup, ossia quell'incredibile sforzo accademico internazionale che si è prefisso di riuscire a costruire entro il 2050 una squadra di androidi completamente artificiali i quali possano incontrare e battere, in una partita di calcio regolamentare, la nazionale umana detentrice del titolo di campione del mondo.

Come ogni anno anche nel 2006 si è svolto un incontro tra gli organizzatori, per fare il punto della situazione e verificare lo stato dell'arte della ricerca robotica. Questa volta il convegno ha avuto luogo in Germania, per la precisione a Brema, dal 14 al 20 giugno. Oltre 400 squadre hanno partecipato alle varie attività in programma, competendo nelle molteplici categorie in cui si è recentemente articolata l'iniziativa che vanno dai robot non antropomorfi di piccolissima taglia fino a quelli umanoidi di grande taglia. Diverse anche le specialità: quelle puramente calcistiche andavano dagli incontri due contro due ai tiri di rigore, ma erano presenti anche competizioni finalizzate alla ricerca ed al soccorso di esseri umani in difficoltà (ad esempio in occasione di disastri o sciagure) ed incontri speciali riservati ai robot sviluppati da ragazzi. Complessivamente le coppe in palio erano ben 33, un numero che illustra bene la grande complessità della manifestazione.

Al termine della grande kermesse robotica il bottino maggiore è stato raccolto dalle squadre di casa: sono stati infatti ben 11 i trofei conquistati da progetti tedeschi; al secondo posto nella classifica generale si è piazzata la Cina con nove coppe, mentre al terzo posto si è classificato nientemeno che l'Iran con ben cinque competizioni vinte.

Nelle competizioni più sfidanti, ossia il calcio fra umanoidi di grande taglia, il vincitore è stato il TeamOsaka proveniente dal Giappone; al secondo posto il team NimBro tedesco. L'Australia, col team Nubots, ha invece vinto il torneo riservato ai giocatori a quattro zampe: come si ricorderà, questa categoria fa uso dei robot Sony Aibo come piattaforma standard sulla quale sperimentare gli algoritmi di gioco in condizioni uguali per tutti; purtroppo la recente dismissione della linea di prodotti Aibo da parte del colosso giapponese mette a repentaglio il futuro di questa particolare competizione.

Va infine sottolineato con piacere che quest'anno, per la prima volta in assoluto nella storia dell'iniziativa, su uno dei podi è salito un progetto italiano: si tratta di RoboCare, un sistema per l'erogazione di assistenza agli anziani attraverso tecnologie avanzate sviluppato da un team guidato da Giuseppe Riccardo Leone, docente all'Università La Sapienza di Roma e ricercatore presso l'Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR.

Il prossimo appuntamento con i tornei dell'iniziativa RoboCup, per la cronaca, si svolgerà ad Atlanta, negli Stati Uniti, durante l'estate del 2007.

I robot del futuro

La fantascienza, si sa, dovrebbe in qualche modo anticipare la realtà; tuttavia è esperienza comune accorgersi che, soprattutto in questi ultimi anni, la realtà superi spesso la fantascienza, mentre quest'ultima non riesca a formulare previsioni in grado di avverarsi davvero. È quindi interessante notare, per concludere il nostro lunghissimo discorso, che almeno per una volta i fatti sembrano dare ragione nella sostanza a quanto ipotizzato oltre mezzo secolo fa da uno dei più grandi scrittori di fantascienza mai esistiti, quell'Isaac Asimov che ricordavamo proprio poco fa parlando del robot antropomorfo della Honda.

Negli anni '40 Asimov rivoluzionò l'archetipo letterario del robot, che fino ad allora era stato improntato dalla visione pessimistica della creatura che inevitabilmente finisce col ribellarsi al suo creatore, inventando i suoi "robot positronici": macchine intelligenti ma obbedienti, dotate di dispositivi di sicurezza tali da rendere impossibile ogni tipo di incidente pericoloso per gli esseri umani. Questa concezione" ingegneristica" dei robot superò per sempre quello che lo stesso Asimov chiamava "complesso di Frankenstein", aprendo la strada alla moderna concezione del robot utile e innocuo.

Il sistema di sicurezza escogitato da Asimov consisteva in un forte "imprinting", nella mente artificiale del robot, di tre principi fondamentali ai quali ogni suo comportamento doveva conformarsi: sono le famose "Tre Leggi della Robotica", passate da allora alla storia ed adottate praticamente da tutti gli scrittori successivi. Eccole, nella loro formulazione più nota:

Ebbene, la notizia curiosa è che in qualche modo la concezione di Asimov entrerà probabilmente a far parte davvero dei principi costruttivi degli androidi del futuro. Proprio di recente infatti il Giappone, che come noto è il Paese più robotizzato al mondo, ha manifestato l'intenzione di emanare una serie di norme industriali per garantire che i futuri robot antropomorfi, da utilizzarsi presumibilmente in attività ove vi sia promiscuità con gli esseri umani, non possano risultare pericolosi per questi ultimi. L'annuncio è del ministero dell'Economia, Commercio e Industria di Tokyo, il quale sta lavorando a un elenco di regole di sicurezza che dovranno essere rispettate dai costruttori di robot di nuova generazione nella progettazione dei loro prodotti. Naturalmente non si parla delle Tre Leggi, tuttavia il concetto è lo stesso: dotare i futuri robot di meccanismi atti a prevenire incidenti potenzialmente dannosi per le persone, così come si fa per qualsiasi altro manufatto tecnologico o bene di consumo introdotto dall'industria sul mercato.

Secondo tali direttive, che dovrebbero essere ufficialmente promulgate entro l'anno, i robot dovranno ad esempio essere dotati di sensori che impediscano loro di travolgere gli esseri umani, dovranno avere superfici morbide o comunque essere caratterizzati da forme tali da minimizzare le conseguenze sulle persone di un eventuale urto, dovranno disporre di interruttori per lo spegnimento di emergenza situati in posizioni esterne ben visibili e facilmente raggiungibili, e così via.

Leggendo questa notizia il pensiero corre ovviamente alle innumerevoli legioni di robot della fantascienza che, regolarmente impazziti, hanno concluso la loro carriera letteraria distruggendo apocalitticamente il proprio creatore e devastando intere città; oppure, più semplicemente, al già citato pistolero robotico de "Il mondo dei robot" che, incurante di tutto il resto, procede freddamente nella sua missione di sterminio degli ospiti di Delos. Certo, un bel bottone rosso di emergenza posto in mezzo alla sua schiena avrebbe risolto a monte tutti i problemi: ma volete mettere il ridicolo?

Forse dunque è meglio che i robot della fantasia e del gioco rimangano ciò che sono sempre stati: non freddi ed inanimati prodotti dell'ingegneria, ma esseri davvero senzienti ed autocoscienti, frutto della passione e dell'alchimia umane, e capaci anche di impazzire e sbagliare, proprio come i loro creatori. E se un giorno vorranno chiedere il diritto di voto, come accade all'Uomo Bicentenario di Asimov… ebbene, perché no? Tanto alla fine, se si avvererà anche la profezia espressa da Clifford D. Simak nel suo capolavoro City, saranno i robot la forma di vita che ci sopravvivrà quando la razza umana si sarà estinta: e, raccolti la notte attorno al fuoco, si narreranno l'un l'altro le storie dei loro Creatori, ricordando nostalgicamente il periodo d'oro di quando l'Uomo e i robot popolavano assieme la Terra.

Saggio pubblicato su Tangram, rivista di cultura ludica, anno V n° 14 (settembre 2006)
Copyright © 2006, Corrado Giustozzi. Tutti i diritti riservati.

Ultima modifica: 10 gennaio 2011
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