Gli editoriali di Byte Italia

Trent'anni dopo

Byte Italia n° 14, luglio/agosto 1999

Esattamente trent'anni fa la fantascienza si trasformò in realtà. Alle ore 4:56 italiane del 21 luglio 1969, diecimila anni di sogni e di aspettative dell'intera umanità si materializzarono improvvisamente, concretizzandosi in una goffa impronta di stivale stampata nitidamente sul polveroso suolo lunare.

E quelle scarne immagini televisive in bianco e nero, dal segnale disturbato e con le voci gracchianti e incomprensibili, rimarranno nella memoria di tutti coloro che vissero quel momento incredibile: miliardi di persone, unite idealmente nello sforzo immane col quale l'intera umanità aveva mandato un proprio rappresentante a deporre una targa d'oro sul nostro satellite naturale, in nome e per conto di ciascuno di noi.

In meno di dieci anni l'uomo aveva realizzato da zero un'impresa che andava vagheggiando sin dall'epoca delle caverne: raggiungere la Luna, toccarla, camminarci sopra. Un'impresa incredibile anche all'epoca, ma che forse ci appare ancora più incredibile oggi, quando consideriamo in retrospettiva quanto fosse assurda e inaffidabile, secondo i nostri standard attuali, la tecnologia degli anni '60.

La missione Apollo fu essenzialmente governata da apparecchiature analogiche basate sul transistor. I pochi computer utilizzati erano grandi mainframe dedicati ai calcoli orbitali ed alle simulazioni remote, ma la potenza elaborativa a bordo dell'Eagle e del Columbia era pressoché nulla. Gli stessi canali di comunicazione, analogici anch'essi, avevano una larghezza di banda ridicolmente limitata, tanto da obbligare all'invio di sole immagini in bianco e nero a bassa velocità di scansione e con minima risoluzione; ed infatti per "vedere" davvero quello che videro gli astronauti dell'Apollo 11 si dovette aspettare che venissero sviluppate le pellicole da essi impressionate sulla superficie lunare e riportate indietro con ogni cura.

Oggi in un normale telefono cellulare c'è molta più tecnologia di quella impiegata per mandare quei folli pionieri sulla Luna, ed un comune notebook sviluppa una potenza di calcolo spaventosamente superiore a tutta quella impiegata nell'intero progetto Apollo. Grazie ad Internet ed ai modem a 56K possiamo inviare in tutto il mondo la nostra immagine video in movimento ed a colori, comprensiva di audio ad alta qualità. E grazie alle reti di telefonia cellulare ed alle costellazioni di satelliti per telecomunicazioni in orbita bassa possiamo rimanere costantemente in contatto con qualsiasi essere umano del pianeta, ovunque ci troviamo.

Eppure ci lamentiamo che cinquecento megahertz di clock sono pochi, che sessantaquattro megabyte di RAM sono proprio il minimo indispensabile per il nostro portatile, che un hard disk da otto gigabyte è appena sufficiente a contenere i nostri dati, che sessanta frame al secondo ad alta risoluzione ed in sedici milioni di colori sono giusto accettabili per riuscire a giocare decentemente al nuovo videogioco appena uscito...

E non pensiamo che appena trent'anni fa, e potendo contare solo su una infinitesima frazione di tutto ciò che oggi abbiamo nel nostro PC di casa in termini di potenza di calcolo e capacità di trasmissione, tre pazzi astronauti si imbarcarono in una scatola di latta per un assurdo viaggio che in quattro giorni li avrebbe portati sulla Luna, dove sarebbero rimasti per appena ventuno ore sperando poi di riuscire a tornare indietro sani e salvi.

Ma forse fu proprio l'elettronica analogica a consentire tutto ciò. I computer di oggi si imbizzarriscono troppo facilmente e senza apparente motivo. Non per niente a bordo dello Shuttle i sistemi di calcolo hanno ridondanza quintupla: tre computer sempre in parallelo, più un quarto di supervisione ed un quinto di backup. Progresso o no, nessuno vorrebbe vedersi comparire un bello schermo blu nel pieno di una manovra di inserimento in orbita di rientro...

Editoriale di Byte Italia n° 14, luglio/agosto 1999
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Ultima modifica: 4 settembre 2006
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